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Channel: La vita a modo mio » vivere in Svizzera
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NE’ QUI, NE’ ALTROVE

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E’ stato bello svegliarsi per qualche giorno con un panorama come questo disponibile alla finestra. Non sempre con così tanto sole, sarebbe stato davvero troppo ;-), ma i 18/20 °C che ti aspettano durante la giornata, anche in caso di pioggia, sono un grande regalo per noi che, ormai da settimane, viaggiavamo con minime intorno ai 7/8°C.

E’ per questo che io apprezzo immensamente il calendario scolastico svizzero, non lo ripeterò mai abbastanza, che mi pare molto più misurato sulle esigenze degli studenti (e degli esseri umani in generale), prevedendo ad intervalli non eccessivamente lunghi un paio di settimane di vacanza: all’inizio dell’autunno, a Natale, a Febbraio e infine all’inizio della primavera, prima dell’approdo alle ferie estive. Trascorrere qualche giorno al mare, fuori stagione, senza la ressa delle vacanze di massa, con un clima ancora tiepido e prima della full-immersion invernale è qualcosa di estremamente prezioso.

E’ vero anche che ogni volta che torniamo in Patria è occasione, non solo di incontrare e salutare amici e parenti (e in questo noi siamo fortunati, perché le distanze ridotte ci consentono di farlo spesso), ma anche di porsi continue domande sulla scelta di vivere fuori dall’Italia, sulle conseguenze che questa decisione ha per noi e per le nostre famiglie, oltre che, in primis, per la nostra Creatura che ha “subìto” questa decisione prima che potesse avere voce in capitolo ed esprimere la sua opinione. Continuiamo ad essere sinceramente convinti che, in questo momento, il luogo in cui abitiamo sia il migliore possibile per tutti, ma anche consapevoli che scelta “expat” comporti tante problematiche evidenti e meno evidenti per chi deve crescere in un luogo diverso da quello in cui è nato e nel quale risiede la sua storia.

Il problema principale, a detta di tutti coloro che per periodi più o meno lunghi si sono trovati a vivere all’estero, è che ad un certo punto si comincia ad essere consapevoli di non sentirsi più completamente appartenenti al proprio Paese d’origine, così come di non sentirsi mai al 100% figli di quello ospitante: decenni di vita altrove sono davvero troppi perché si possa ripartire da zero e “rinascere” diversi per storia, cultura, lingua, abitudini. Ragionevolmente neppure lo vorremmo. Ma essere “né carne, né pesce”, degli strani “ibridi”, magari un po’ incompresi da entrambe le parti, ha certamente un prezzo. E non sono sempre così sicura di volere che lo debba pagare anche un bambino di cinque anni.

Foto Carlotta G.

Foto Carlotta G.


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